A sinistra ci si preoccupa un po’ del fatto che In Italia il probabile primo capo del governo di sesso femminile possa essere, tra poco, un’esponente della destra. Si legge infatti su Il manifesto: “Peccato che la sinistra, storicamente in prima linea nelle conquiste legislative sulla parità e i diritti delle donne, si sia lasciata sfuggire questa opportunità”. Il pensiero tradisce la concezione della politica come un derby: una contrapposizione frontale basata non tanto su progetti concreti quanto su pretestuosi primati. Non potendo gioire quanto sarebbe stato possibile se al posto di Giorgia Meloni ci fosse stata la Serracchiani o la Boldrini si passa a sottilizzare, presumendo che la Meloni non governerà mai come una vera donna, ma come un uomo (per giunta dei più retrivi), travestendosi da uomo, dimenticando i diritti delle donne. E si citano esempi storici in tal senso, dalla Thatcher andando indietro, ovviamente fino al periodo fascista, quando le poche donne con ruoli di responsabilità non agirono mai e poi mai in nome della liberazione di genere, quanto piuttosto come longa manus disciplinatoria del regime.
Giorgia Meloni non è ancora primo ministro: su che base si dovrebbe immaginare che, una volta a Palazzo Chigi, diventerà più maschia dei maschi, perpetuando la persecuzione emarginatoria o l’indifferenza verso il proprio stesso sesso? Perché questo processo alle intenzioni? Solo perché è una donna grintosa e ha la voce autorevole, da contralto arrabbiato? O solo perché è “di destra” e ha manifestato conservatoristiche tendenze anti-gender o pro famiglia?
Mi sembra che, ancora una volta, in nome del garantismo verso il genere femminile, si perpetui la sua auto-ghettizzazione, maliziosamente rinunciando fin dal principio a credere che in questo caso “prima donna premier” possa significare l’adozione di politiche di genere. Del resto, se una donna primo ministro mettesse oggi prioritariamente in agenda provvedimenti a favore del proprio sesso non tradirebbe un atteggiamento discriminatorio, quando non populistico e demagogico, ai danni di tutto il resto della popolazione maschile? E non potrebbe venirle imputato proprio questo? Nell’attuale tragica situazione italiana e mondiale, dov’è la priorità? Nelle quote rosa, nella legge sull’aborto, nei diritti LGBT, o piuttosto nella disoccupazione, nel caro bollette, nel confronto con l’Europa, nella crisi economica ed energetica, nei venti di guerra? Che cosa dovrebbe prevalere, i diritti di una sola metà della popolazione e di minoranze penalizzate o piuttosto le urgenze di tutta una nazione?
Se un primo ministro donna dimenticasse per un momento di essere una donna, fregandosene di un femminismo ormai di facciata e dalle pretese a volte ridicole, sentendosi anche solo per una stagione già naturalmente uguale a un uomo sul piano delle responsabilità e delle decisioni, perché mai il suo ruolo dovrebbe per questo essere sminuito? E del resto, il fatto che sia arrivata a guidare un partito e che sia a un passo da palazzo Chigi non dovrebbe di per sé essere una sufficiente garanzia delle sue capacità, del fatto che in Italia, donne capaci non sono più per niente discriminate, tutto al contrario, e che non è affatto impossibile che tali capacità le portino al successo? Chi ci autorizza a pensare che la probabile futura premier voglia rimanere l’unica donna di successo in un universo di mezze calzette maschili? O voglia intenzionalmente schiacciare le altre donne per continuare a primeggiare da sola?
A sinistra ci si consola pensando che, perlomeno, Giorgia Meloni vanterebbe soltanto un primato italiano: nel resto del mondo le donne premier si sprecano. Come a dire: sei la prima, ma poi non tanto. Conclusioni: cercare motivi per dubitare a prescindere della consapevolezza politica di una donna di destra conferma ancora una volta, casomai ce ne fosse ancora bisogno, quanto è duro a morire il provincialismo di noi italiani, attaccati a pretestuosi pseudo-valori, e cionostante fieri esponenti del pensiero dominante.
30 settembre 2022