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UN ALTRO MODO DI PREGARE

Per ascoltare invece di leggere:

In questi giorni abbiamo sentito l’inquietante storia del prete scomunicato che ha pubblicamente denigrato la figura di papa Francesco. Non mancano poi i ritorni sulla vicenda della cosiddetta veggente di Trevignano, che pare abbia ricevuto direttamente dalla Madonna profezie su un imminente scisma, prossimo a scuotere la Chiesa.

Che da anni la Chiesa sia già scossa al suo interno non è una novità. Insieme al resto del mondo, col quale ha iniziato a dialogare e a confrontarsi da almeno sessant’anni, la Chiesa sembra sperimentare le stesse disfunzioni e gli stessi problemi, passando dall’orgoglio di non essere diversa da questo mondo disperato e alienato al disorientamento di non riuscire più a guidarlo.

Io non riesco a credere, non ne ho mai fatto mistero. Però di Dio ho nostalgia. E anche di figure forti di riferimento ho nostalgia. In questi giorni, in particolare, ho pensato molto a Benedetto XVI. Il teologo, il filosofo, lo studioso, prima che il papa. Avrei voluto conversare con lui. So che certamente mi avrebbe ascoltata e che soprattutto mi avrebbe dato una lezione decisiva proprio sul mistero della fede.

Rimpiangendo di non poterlo più incontrare, e di non avere mai osato sperare in un incontro reale, ho fatto ricorso al gioco eterno, a me così tanto congeniale, dell’intervista impossibile. Negli ultimi giorni dell’anno, approfittando del coraggio che a volte dà una breve malattia, ho scritto un testo, che, per chi fosse interessato è leggibile QUI, e che non escludo di potere un giorno rappresentare in teatro o in radio teatro.

Un autorevolissimo e qualificato lettore di questo testo, che ha avuto la cortesia di leggerlo rapidamente in anteprima, mi ha fatto subito due interessanti obiezioni: che il papa emerito non mi avrebbe mai chiamato “figlia” (come io ho invece immaginato che avrebbe fatto) e che le sue risposte, nella mia conversazione immaginaria, sono troppo brevi.

Respingendo entrambe le critiche, sono grata di avere con ciò l’occasione di precisare due pensieri. Il gioco dell’intervista impossibile -immaginare di incontrare un personaggio lontanissimo da noi nello spazio e/o nel tempo- autorizza, anzi in qualche modo pretende anacronismi, accenti surreali, libertà assoluta da esagerati vincoli realistici e storiografici. Anche se, per definizione, immaginare di incontrare Napoleone o Pitagora, Michelangelo o Cavour presuppone nell’autore una conoscenza più che approfondita del personaggio. Ma è una conoscenza da intendersi come la conoscenza della tecnica: va padroneggiata alla perfezione per potersi poi permettere di violarla. Dunque è una conoscenza che va messa a servizio della creatività, della personalità, della stessa fragilità emotiva di chi scrive. Dunque se nella realtà Benedetto XVI non si sarebbe mai permesso di chiamarmi “figlia”, il mio bisogno retroattivo è che lo avesse fatto e che lo faccia in qualche modo ancora oggi, anche se è ovviamente impossibile e proprio perché è impossibile.

Quanto alla seconda critica, relativa alla eccessiva brevità delle risposte che ho immaginato in bocca al papa, la mia “difesa” investe due piani: uno drammaturgico e uno estetico-sentimentale.

Certamente, investito dalla necessità di parlare della fede, nella realtà Benedetto XVI si sarebbe soffermato a lungo su sopraffine questioni teologiche, magari in forma di lectio magistralis, o di esortazione apostolica o di saggio o di omelia… Ma sarebbe anche stato capace, come del resto dimostrò di saper fare per esempio con i bambini della prima comunione, di dire cose grandi molto brevemente e semplicemente. Portare in scena una conversazione con un papa teologo – senza che sulla scena non accada niente altro che un confronto di cervelli o di cuori- comporta che lo scambio sia più simile a una partita a tennis che a una impeccabile lezione universitaria. E non è tutto: la mia sfida – di nuovo il mio bisogno di povera miscredente- è che le argomentazioni di un papa teologo, le rassicurazioni che mi aspetto da lui, e che mi immagino di richiedergli, siano anche fulminanti come un raggio di luce. Che siano essenziali come il verso di una poesia e quasi lapidarie come il Vangelo: “Chi è fedele nel poco è fedele anche nel molto”. Fu proprio Benedetto XVI a citare questo passo di Luca sul sagrato della cattedrale di Velletri nel settembre 2007.

Poco e molto: io so che il papa teologo, con poche, semplici parole, mi avrebbe confortata moltissimo. E poiché non c’è prova che lo avrebbe fatto per davvero e nel modo che mi sono immaginata – ma del resto neppure del contrario –  continuo a sentirmi libera di immaginarlo così. E mi piacerebbe che questo fosse considerato non un atto arrogante o una violazione del rispetto dovuto alla Storia, ma semplicemente un altro modo di pregare.

 

4 gennaio 2024

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