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VENT’ANNI FA

Per ascoltare invece di leggere:

Io c’ero. All’inizio e anche alla fine.

C’ero quella dolce sera d’autunno di quell’anno terribile. L’anno del sequestro Moro, dell’assassinio di Peppino Impastato, della legge sull’aborto, delle dimissioni del presidente Leone, della morte di Paolo VI, della fuggevole comparsa di Giovanni Paolo I, degli accordi di Camp David…

Tornavo dall’università insieme al mio ragazzo di allora, che poi sarebbe diventato mio marito: che si fa? Una birretta da Muskio o passiamo in piazza a vedere se hanno eletto il nuovo papa? Ma sì, passiamo.

 Io c’ero dunque tra quelli che esultarono alla fumata bianca, io lo avvertii quell’attimo di sconcerto alla pronuncia di quello strano nome, mai sentito prima. 16 ottobre 1978. E le captai, le domande della gente, e noi stessi ce lo domandammo: sarà negro? “…Karolum cardinalem Wojtyla…  qui sibi nomen imposuit….”.

Quanta poca fantasia, pensai. Che noia. E nello stesso tempo: che inevitabile omaggio al predecessore. Ce ne andammo, un po’ delusi. A noi poi che cosa cambiava un papa bianco o nero, italiano o polacco?

Tre anni dopo, nel laboratorio radio dello Studio Paolino Internazionale della Comunicazione Sociale, dove studiavo per diventare giornalista radiofonica, l’insegnante Carlo Sacchettoni, cronista del GR2, riceve una telefonata improvvisa e schizza letteralmente via dall’aula per precipitarsi in redazione: hanno sparato al papa!  Solo parecchi anni dopo, lessi come un “segno” il fatto di trovarmi davanti a un mixer in uno studio insonorizzato esattamente quel pomeriggio del 13 maggio 1981, mentre quello che sarebbe diventato solo l’anno successivo il mio maestro Benedetto Nardacci raccontava in cronaca diretta, dalle antenne della Radio Vaticana, con voce ferma appena velata dallo sconcerto e le sirene della polizia in sottofondo, quanto stava avvenendo in piazza san Pietro…

C’ero dunque dentro la cosiddetta “voce del papa”, dentro la storica emittente pontificia inaugurata appena un cinquantennio prima nientemeno che da Guglielmo Marconi: ci sono stata per quarant’anni, seguendo il papa polacco in alcuni suoi viaggi, raccontando le messe da lui celebrate dalla Loggia di san Longino nella basilica vaticana, ascoltando i suoi discorsi registrati, seguendolo sugli schermi, montando e rimondando pezzi di frasi, studiando il suo magistero, assorbendo nelle fibre del mio timpano le vibrazioni della sua voce potente, che negli anni si indeboliva sempre più. C’ero insieme a tutti i miei colleghi, tecnici e redattori, impegnati insieme a lui a lavorare “per il mondo”, per essere la voce del mondo.

E  c’ero quell’aprile di venti anni fa. Lui in agonia. Tutte le televisioni sintonizzate su quel rosario di immagini di repertorio, a ripassare le tappe di un pontificato durato tanto, quasi troppo, ad aspettare l’annuncio fatale. Sera, preparo la cena. I figli adolescenti persi nei loro affari. E quel televisore sempre acceso, quel loup di immagini che ormai sono la Storia, quelle istantanee sulla piazza gremita di gente, in attesa, in preghiera. Ci guardiamo, con mio marito. Un attimo. Da tempo, nelle tante cose da fare, non ci guardiamo quasi più. Poche parole: che si fa? Andiamo? Andiamo.

I ragazzi ci seguono. E’ strano. Da tempo, anche loro quasi non ci guardano più, non ci ascoltano più. E’ già il tempo della ribellione. Eppure ci seguono, senza fiatare. Andiamo. Scendiamo in piazza senza difficoltà, scivolando in quella sera così “lucida”, così dolce.

La piazza è gremita. E sembra ancora più densa di gente perché nessuno parla. Parla solo lo scroscio delle fontane. Non c’è silenzio più silenzio di quello di una folla in silenzio, di una somma di centinaia di silenzi.

E con i nostri silenzi, dopo qualche minuto di … concentrazione, ce ne andiamo. Torniamo ai nostri silenzi di gente disamorata e stanca. Ma prima di lasciare la piazza, mio marito scatta una foto a quella folla, a quella piazza. Appena a casa, riaccendaimo il televisore. E’ dalla voce di Bruno Vespa che apprendiamo: “il papa è morto”. Alle 21.37. Mio marito torna a guardare la foto. Risulta scattata alle 21.37.

Tra testimoni e commentatori sta già girando una frase, che sarebbe stata l’ultima pronunciata dal papa morente ai suoi papaboys, ai suoi ragazzi: “vi ho chiamati e siete venuti”.

Eravamo noi, i suoi ragazzi. Un po’ cresciuti, dopo ventisette anni.

 

2 aprile 2025

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